Mc 7,31-37
L’incontro con Cristo modifica e libera la nostra percezione della realtà. Proprio come avviene per il sordomuto che viene preso in disparte da Gesù e viene guarito dalla sua malattia. Una malattia che, appunto, coinvolge il rapporto percettivo con la realtà circostante. Un sordomuto non riesce a decifrare gli stimoli sonori in entrata e non riesce ad elaborare suoni significanti in uscita. C’è un blocco da entrambe le parti: input ed output. Molto significativo a livello esistenziale.
Ciascuno di noi può attraversare questa condizione quando diventa sordo nei confronti di una realtà che parla, nei riguardi del grido di chi soffre o rispetto ai tanti appelli etici che ci rivolge la società in cui viviamo. Allo stesso tempo capita sovente di sentirsi incapaci di esprimersi, di trovare delle parole vive e cariche di verità per agire dentro un mondo che travisa facilmente ogni significato e che gioca con le dialettiche vuote con l’unico scopo di fare pubblicità. Esprimere il proprio pensiero implica infatti un esporsi che spesso deve pagare il prezzo di essere se stessi, finanche controcorrente.
Si è sordomuti quando si continua a vivere facendo finta di nulla, facendosi andare bene tutto in modo acritico o, peggio ancora, in modo cinico e senza speranza. Si è sordomuti quando si ha paura di esporsi e non si ha il coraggio di combattere certe battaglie.
Quel giorno, quel sordomuto non chiede nulla, si sente solo afferrato dalla potenza di Cristo che lo chiama ad aprire le porte sia in entrata che in uscita. Lo chiama a prendere possesso della sua vera e profonda identità di persona amata, cioè salvata dalle maglie fitte di una rete che gli impediva di vivere da vero uomo, “correttamente”.
È un miracolo che consente un rapporto nuovo con la realtà. Una guarigione da non smettere mai di chiedere…

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