Cosa si prova a non essere riconosciuti per ciò che si è da chi si ama? Un’esperienza molto umana che può capitare a ciascuno di noi e che non ha risparmiato nemmeno Gesù. Lui che era nell’intimo rapporto di amore filiale col Padre e da cui si sente totalmente amato (“Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni” Ger 1,5), ora si trova a scontrarsi con una realtà familiare che non lo riconosce “Non è costui il figlio di Giuseppe?” (Lc 4,22) e non riesce ad aspettarsi nient’altro da lui. Proprio lì, in mezzo alle persone con cui era cresciuto e che conoscevano i suoi modi di fare e di parlare, si sente come uno straniero non compreso.
Del resto, proprio quando pensi di conoscere una persona, poi ti accorgi che essa sfugge al tuo schema di comprensione. Anche il Cristo sfugge a qualsiasi schema interpretativo, anche Dio non lo si può intrappolare in una qualche definizione o aspettativa.
C’è solo una realtà che rimane inalterata e che parla un linguaggio universale, che risulta comprensibile a tutti perchè salva tutti, anche senza l’uso delle parole. È la carità, quella che accetta (come nel caso di Cristo) di non essere compresa perché “Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor 13,7). È solo un amore così che dona senso al nostro agire.
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