Dopo S. Teresa d’Avila, continua la scoperta conoscitiva e spirituale di “Un tuffo nella tua interiorità” con Elisabetta della Trinità, una piccola santa francese, che di piccolo ha solo il numero degli anni trascorsi in vita, morirà a 26 anni nel Carmelo di Digione, ma che, in realtà, è un faro gigante che getta luce su tutto il nostro abisso di umanità. A lei, che il 16 ottobre 2016 sarà riconosciuta santa dalla Chiesa, vogliamo dedicare un articolo mensile che ci faccia guardare un po’ più da vicino tutto ciò che la riguarda.
In questo primo intervento ripercorreremo i momenti più significativi della sua biografia, accennando a quelle intuizioni tutte sue che lo Spirito Santo porterà a maturazione durante gli anni del Carmelo, come si può dedurre dalla semplice lettura delle Lettere e dalle cronologie allegate alle raccolte delle sue opere.
Elisabetta nasce il 18 luglio 1880 da Francesco Giuseppe Catez, generale, e Maria Rolland in Campo d’Avorio, presso Bourges, in Francia. La sua Nazione a quel tempo stava portando avanti un’opera di persecuzione contro la Chiesa, in particolare contro i monasteri e conventi religiosi, come lei accennerà in più lettere (L 162; L 182).
Tre anni dopo, nascerà Margherita, che Elisabetta chiama Guite, “eco dell’anima mia” (L. 204), verso la quale è stretta da un legame forte che si rinsalderà per tutta la vita (L 135; L 46; L 201). All’età di 7 anni, nel 1887, si trasferisce con la famiglia a Digione, vicino a un monastero di Carmelitane scalze. Qui si colloca quel primo incontro con la Priora che le rivelerà il significato del nome che porta. L’immagine regalatale dalle monache, infatti, termina con queste parole: “Bambina mia, il tuo nome è sulla terra “Casa di Dio” di un Dio che è Amore”. Per lei è stata un’intuizione decisiva che approfondirà entrando al Carmelo: essere abitata dal Dio Uno e Trino.
In quello stesso anno 1887 Elisabetta perde il papà, ma il suo ricordo resterà sempre vivo in lei. Nel settembre del 1901 dal Carmelo scriverà alla sorella: “il 2 ottobre saremo particolarmente unite nella preghiera per il nostro caro papà. Sono certa che egli è felice di vedere da lassù la sua fogliolina al Carmelo. Dopo che mi trovo qui, mi sento tanto più vicina a lui” (L 88).
Da adolescente conduce una vita piena di interessi più diversi, arricchita di incontri e viaggi intrapresi con la mamma e la sorella. Ama non solo la musica, suona e compone al pianoforte, ma con passione e costanza lavora con l’ago, confeziona capi femminili per amiche e conoscenti, si dedica allo studio dell’inglese. Elisabetta, ardente e volitiva, lotta perchè prevalga in lei un tratto affettuoso e gentile che la rendono una piacevole compagnia nelle lunghe passeggiate e negli incontri danzanti con le amiche ma, al contempo, mostra fin da giovanissima quell’attrattiva per i luoghi ameni che scopre nelle sue escursioni estive in Svizzera e Francia, la cui solitaria bellezza dona pace alla sua anima. Nel 1904, ormai nel Carmelo da tre anni, ricordando il tempo in cui si arrampicava insieme alla sorella sulle montagne, le scrive: “non ti pare che questa natura parli di Lui? L’anima ha bisogno di silenzio per adorare” (L 210).
Come si coglie dalla sua fitta corrispondenza, tante sono le amicizie che intesse con persone di diversa età e cultura e verso ognuna mostra una tale partecipazione affettiva e un tono così familiare da far sentire quella persona unica, senza, tuttavia, costringerla in una relazione esclusiva, ma anzi partecipandola di un cerchio amicale dove una persona cara ne richiama un’altra.
Frequenti sono le espressioni dolci e accorate che usa nel rivolgersi ai suoi interlocutori, che abitano nel suo cuore con una tale intensità da annullare distanze e lenire quei dolori, che le partecipano. Elisabetta trova casa nella gioia e nel dolore. La sofferenza la visita più volte, toccando le corde più intime del suo cuore, in primis nel rapporto con la mamma, che la lascerà entrare nel Carmelo di Digione solo a ventun anni dopo un lungo tempo di attesa. A lei scriverà parole dolcissime piene di affetto e di co-partecipazione al doloroso distacco. Al termine di una sua lettera scrive: “Ti lascio senza lasciarti perché ti porto nella mia anima” (L 94).
Poco dopo la sua professione religiosa datata 11 gennaio 1903, suor Maria Elisabetta della Trinità inizia ad avere problemi di salute sempre più evidenti, che si riveleranno sintomi del morbo di Addison, una malattia sempre più invasiva che colpisce le ghiandole surrenali e che le impedirà financo di bere e mangiare. Nell’estate del 1906 scrive le sue meditazioni, frutto di quei mesi dolorosissimi, nell’«Ultimo ritiro di Laudem gloriae» e nel «Come trovare il cielo sulla terra». Muore il 9 novembre 1906, a soli 26 anni.
sr Fernanda
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